Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 4 maggio 2004, n. 8429

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decisione 6 maggio 2002 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Venezia rigettava la domanda di iscrizione all'Albo degli Avvocati presentata da Riccardo D. costituendo elemento ostativo la pendenza di procedimenti disciplinari nei confronti del richiedente, almeno sino alla definizione degli stessi.

Proponeva gravame il D. sul rilievo:

1) della mancata audizione dell'interessato prima dell'adozione di una determinazione negativa nei suoi confronti;

2) della irrilevanza del fatto richiamato (pendenza di procedimenti disciplinari) sia di per se stesso, sia in relazione alle modalità della relativa determinazione e motivazione ai fini del diniego dell'iscrizione, sostanzialmente fondato sulla carenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata;

3) della necessità che anche nel caso di specie fossero applicate le regole del giusto processo in relazione alla norma dell'ordinamento professionale che prevede la possibilità per il Consiglio Nazionale Forense (organo collegiale composto di 26 membri) di operare e deliberare con la presenza di soli sette componenti e quindi con un quorum incerto e variabile di volta in volta (sul punto veniva anche sollevata questione di legittimità costituzionale).

Con decisione del 29 aprile 2003, sulle conformi conclusioni del Pm, il Consiglio Nazionale Forense accoglieva il ricorso ritenendo fondata la censura relativa alla dedotta irrilevanza, ai fini dell'iscrizione nell'Albo, della pendenza dei procedimenti disciplinari relativi all'attività svolta dal richiedente quale praticante Avvocato.

Da un lato, infatti, l'ordinamento professionale vigente non prevede che tale circostanza possa avere di per sé carattere preclusivo della iscrizione una volta che risultino sussistenti i requisiti previsti dalle specifiche norme di legge e dall'altro, ove si fosse voluto desumere da tali procedimenti elementi rilevanti circa il requisito della condotta specchiatissima ed illibata, posto che questa non può ritenersi astrattamente limitata dalla pendenza di un consimile procedimento, si sarebbero dovuti analizzare specificamente i fatti oggetto delle contestazioni disciplinari e motivare in relazione ad essi individuandone le ragioni di rilevanza ai fini di tale condotta.

Una tale valutazione, che peraltro era di assai dubbia realizzabilità nel sistema venendo a costituire sostanzialmente anticipazione del giudizio disciplinare, non era stata posta in essere dal Consiglio dell'Ordine, le determinazioni del quale apparivano pertanto viziate.

L'accoglimento del ricorso per tale motivo sostanziale faceva poi venir meno la materia del contendere in ordine alla questione formale concernente la mancata audizione dell'interessato, mentre comportava il difetto di rilevanza del profilo relativo al cosiddetto giusto processo ed alla connessa questione di legittimità costituzionale.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione a queste Sezioni Unite il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Venezia sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso Riccardo D. il quale ha a sua volta proposto ricorso incidentale affidato a due censure, resistite dalla controparte con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, il principale e l'incidentale, in quanto proposti avverso la medesima decisione (art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia violazione degli artt. 31 e 56 del r.d.l. 1578/1933, nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia.

Premesso che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte suprema, in tutti i casi di impugnazione, e quindi non solo del silenzio-rifiuto (art. 31, comma quarto, della citata normativa) ma anche della delibera di rigetto dell'istanza di iscrizione, vertendosi in entrambi i casi in tema di provvedimenti per legge negativi, il Consiglio Nazionale Forense, essendo anche giudice del merito, ha facoltà di utilizzare fonti di prova sorte dopo la delibera del Consiglio dell'Ordine e comunque elementi diversi da quelli posti da tale Organo a fondamento della decisione impugnata, nel caso di specie il Consiglio Nazionale Forense avrebbe fatto cattivo esercizio di tali poteri esercitando sulla delibera in discorso di rigetto della domanda di iscrizione un mero vaglio di legittimità dell'atto amministrativo.

Compito del Consiglio Nazionale Forense non era invero soltanto quello di verificare la validità dell'atto negativo assunto dal Consiglio dell'Ordine veneziano alla luce dei motivi d'impugnazione dedotti dal ricorrente ma anche quello di verificare se fosse fondata, alla luce di tutta la cospicua documentazione prodotta nell'ambito del procedimento amministrativo e trasmessa al giudice dell'impugnazione, la pretesa del D. all'iscrizione sulla base dei requisiti di cui all'art. 17 del r.d. 1578/1933.

In altri termini mancava del tutto una valutazione e motivazione di merito da parte del Consiglio Nazionale Forense in ordine alla pretesa del dottor D. in particolare sotto il profilo della "condotta specchiatissima ed illibata" cui sostanzialmente si riferiva l'impugnato diniego del Consiglio veneziano.

E tale totale mancanza di motivazione su punto decisivo della controversia era riconducibile al vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 56 del citato r.d.l. deducibile nel ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio Nazionale Forense.

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 17 e 56 r.d.l. 1578/33 e del d.P.R. 101/1990, nonché omessa motivazione o motivazione apparente su punto decisivo della controversia.

Rileva il ricorrente l'erroneità sotto più profili della statuizione del Consiglio Nazionale Forense circa l'irrilevanza preclusiva, ai fini dell'iscrizione nell'albo degli avvocati, della pendenza di procedimenti disciplinari relativi all'attività svolta quale praticante avvocato.

Essendo, invero, anche ai fini dell'iscrizione al registri dei praticanti avvocati richiesta, ai sensi dell'art. 17, la sussistenza della condotta specchiatissima ed illibata, non si vede come il comportamento disciplinarmente censurabile del praticante avvocato rilevante ai fini del mantenimento dell'iscrizione al registro dei praticanti possa essere ritenuto irrilevante ai fini della successiva iscrizione all'Albo degli Avvocati, stante la propedeuticità dell'attività di praticante ai fini dell'accesso alla professione forense.

Con il terzo motivo si denunzia, infine, violazione dell'art. 56 del r.d.l. 1578/1933 nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia.

Rileva il ricorrente che, contrariamente all'assunto del Consiglio Nazionale Forense, una motivazione sufficiente a render conto dell'iter logico seguito dal Consiglia veneziano sarebbe rinvenibile nella motivazione della delibera del 6 maggio 2002.

In tale provvedimento infatti erano individuati con precisione tutti i procedimenti disciplinari pendenti nei confronti del D. e i fatti contestati (e in quanto tali ben noti all'istante già a seguito dell'avvio delle relative istruttorie preliminari) erano stati ritenuti tutti ostativi all'iscrizione all'Albo sul piano dell'implicita (ma evidente) carenza del requisito della condotta specchiatissima e illibata, requisito in ordine al cui accertamento il Consiglio dell'Ordine procede ad una valutazione autonoma e discrezionale.

Null'altro poteva esser richiesto al Consiglio dell'Ordine veneziano che, con motivazione scarna ma essenziale, si era correttamente, anzi doverosamente limitato a rilevare le pendenze disciplinari (tutte per violazioni deontologiche tutt'altro che lievi) e a ritenere, allo stato, e in attesa della definizione dei procedimenti, già le pendenze come ostative all'iscrizione non essendogli consentita una valutazione prognostica sulla fondatezza degli addebiti disciplinari.

Sicché in quest'ottica appare prospettabile anche il vizio di violazione di legge di cui all'art. 56 r.d.l. 1578/1933 in relazione alla omessa o apparente motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla valutazione della legittimità, sotto questo profilo, dell'atto assunto dal Consiglio dell'Ordine.

L'esame congiunto dei tre motivi del ricorso principale conduce all'accoglimento del medesimo per le ragioni che qui di seguito vanno ad esporsi.

Per consolidata giurisprudenza di legittimità il requisito della "condotta specchiatissima ed illibata", al fine dell'iscrizione nell'albo degli avvocati (tuttora vigente anche secondo Cass. Sezioni Unite, 10382/1993, non essendo stata la norma di cui all'art. 17, n. 3, del r.d.l. 1578/1933 implicitamente abrogata né per effetto della sostituzione dell'art. 166 c.p. in tema di effetti della sospensione condizionale della pena con l'art. 4 della l. 19/1990, né per effetto della l. 732/1984 che ha eliminato il requisito della condotta illibata per l'accesso ai pubblici impieghi), può essere autonomamente accertato e valutato dal Consiglio Nazionale Forense, anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal Consiglio dell'Ordine a fondamento della decisione impugnata, con utilizzazione altresì di fonti di prova sorte anche dopo quest'ultima, atteso che il predetto Consiglio Nazionale è giudice anche del merito, non soltanto di legittimità (Cass. Sezioni Unite, sent. 892/1973, 4130/1980, 6331/1990, 9291/1994).

Ebbene, non par proprio al Collegio che il Consiglio Nazionale Forense si sia uniformato a tali principi, limitandosi a stigmatizzare il comportamento del Consiglio dell'ordine per non aver specificamente analizzato i fatti oggetto delle contestazioni disciplinari, individuandone le ragioni di rilevanza ai fini della valutazione della condotta specchiatissima e illibata, senza condurre, come gli era consentito, una autonoma indagine su tali fatti spiegando quindi, in modo esauriente e logico, l'incidenza o meno di essi sul requisito in questione, non ostando a tale valutazione la presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (v. la citata Cass. Sezioni Unite 9291/1994) e non tenendo conto, in particolare, della circostanza che per alcuni di tali fatti (esercizio abusivo della professione forense) il relativo procedimento 73/2000 si era concluso con l'inflizione della sanzione dell'avvertimento alla data dell'11 ottobre 2002, successiva alla impugnata delibera del Consiglio dell'Ordine.

Pertanto la decisione impugnata va cassata, in relazione al ricorso principale, con rinvio, per nuovo esame, al Consiglio Nazionale Forense che si adeguerà ai suesposti principi, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato in quanto proposto dalla parte risultata completamente vittoriosa dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, per sollevare questioni che nella pronunzia di quell'Organo non sono state decise neppure implicitamente perché assorbite dall'accoglimento del motivo sostanziale del gravame di merito, questioni che potranno essere riproposte dal D. dianzi al giudice del rinvio in caso di riassunzione del giudizio (v. tra le tante Cass. 7103/1998, 3908/2000, 9637/2001, 15344/2002, 14382/2002, Sezioni Unite, 12680/2003).

È il caso di disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato, cassa, in relazione al primo ricorso, la decisione impugnata e rinvia la causa al Consiglio Nazionale Forense.