Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 9 aprile 2004, n. 1991

FATTO

Il signor A.G. - Vice Ispettore della Polizia di Stato in servizio presso il Magazzino V.E.C.A. di Napoli, con un primo ricorso (n. 6408/1998) impugnava il silenzio mantenuto dal Ministero sull'istanza del 12 giugno 1996, con la quale aveva chiesto di essere trasferito presso una delle seguenti sedi: Questura di Napoli, Comando Sezione Polizia Stradale di Napoli, Compartimento Polfer di Napoli, Centro Criminalpol di Napoli, S. Felice a Cancello.

Con un secondo ricorso (n. 6032/1999) impugnava il provvedimento 1° aprile 1999 del Direttore della 2a Divisione Servizio Dirigenti Direttivi ed Ispettori della Direzione Centrale del Personale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, recante rigetto della sua domanda 15 febbraio 1999, con la quale aveva richiesto un nuovo trasferimento indicando come sedi di gradimento: Reparto Prevenzione Crimini Campania di Napoli; Questura di Napoli, Polfer di Cancello Scalo; Comando sezione polizia stradale di Napoli.

Con un terzo ricorso (n. 4879/2001) impugnava un terzo diniego di trasferimento, deducendo censure identiche a quelle già formulate con i precedenti gravami, nonché il diniego di accesso ai documenti di cui al verbale di notifica del 26 marzo 2001 del dirigente il Magazzino V.E.C.A. di Napoli.

Il Ministero intimato resisteva in tutti i ricorsi.

Il TAR, riuniti i gravami, li respingeva, mentre dichiarava inammissibile il terzo ricorso per la parte relativa al diniego di accesso.

La sentenza è stata appellata dall'interessato che ne censura le conclusioni e chiede che venga integralmente riformata.

Resiste il Ministero.

L'appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 dicembre 2003.

DIRITTO

1. L'appello è infondato.

1.1. Il TAR, dopo avere ricordato che i tre ricorsi erano rivolti contro il rigetto di tre distinte domande, presentate in tempi diversi dal Vice ispettore della Polizia di Stato e volte ad ottenere il trasferimento dal magazzino V.E.C.A. di Napoli, li ha respinti, sul rilievo che il motivo posto a base del diniego era da ritenere immune dai vizi di difetto di motivazione e di carenza di presupposto sollevati dal ricorrente.

Il rapporto di affinità esistente tra la sorella del ricorrente ed un noto pregiudicato affiliato ad un pericoloso clan camorristico operante nella zona napoletana (la sorella è sposata ad un fratello del pregiudicato), costituisce, ad avviso del primo giudice, circostanza idonea a supportare una congrua motivazione ed un valido presupposto del provvedimento impugnato.

A conforto di tale conclusione, ha osservato che, diversamente dalle relazioni giuridiche, la vita di relazione è caratterizzata, sul piano sociale, da una ricca trama di sentimenti (affettivi, di amicizia, familiari ecc.), tutti potenzialmente in grado di influenzare le posizioni dei singoli soggetti coinvolti nei rapporti e di indurre effetti riflessi negativi nella condotta dei medesimi soggetti sia sul piano dell'immagine sia sul piano comportamentale, con conseguente deviazione dalle normali regole di condotta.

In tale contesto, non potrebbe escludersi che il citato rapporto di affinità possa offuscare l'immagine del ricorrente, suscitando sospetti sulla sua condotta ove egli fosse chiamato ad operare in uffici dove, per il tipo di mansioni da svolgere, sia in condizione di interferire, anche a livello meramente informativo, con la vicenda relativa al soggetto pregiudicato.

Allo stesso modo, l'eventuale disinteresse del ricorrente alla predetta vicenda potrebbe essere al limite causa di deterioramento del rapporto coniugale della sorella e, di riflesso, del rapporto di questa con il ricorrente, con potenziale pregiudizio per la sua serenità e conseguente ricaduta negativa sulla qualità del servizio prestato.

Sono queste le ragioni che, sebbene non esplicitate nella formula del citato rapporto di affinità posto a base dei provvedimenti impugnati, possono ritenersi in essa immanenti secondo il comune sentire e, soprattutto secondo la logica dell'ordinamento della pubblica sicurezza, con conseguente piena legittimità dei provvedimenti impugnati.

1.2. Le conclusioni del TAR vanno confermate.

In disparte ogni considerazione sulla trama delle relazioni sociali e sui riflessi che tale trama induce nei rapporti che vi sono coinvolti, è decisivo il rilievo che in tema di modalità di utilizzazione del personale dipendente, l'Amministrazione gode di un potere ampiamente discrezionale, che va esercitato in coerenza con le esigenze istituzionali del servizio di volta in volta coinvolto.

Questo potere, predicabile per ogni pubblica amministrazione, assume connotati peculiari quando si riferisce all'amministrazione della polizia di Stato, preposta all'attività di prevenzione di fenomeni criminosi, la quale deve potere organizzare i propri servizi, utilizzando il personale che, a giudizio degli organi competenti, appaiono, sotto ogni profilo, i più idonei a perseguire gli obiettivi prefissati.

In tale contesto, l'idoneità della circostanza posta a base del rigetto della varie domande di trasferimento dell'originario ricorrente, costituisce un apprezzamento di merito, di esclusiva pertinenza dell'amministrazione, specie ove si consideri che la zona nella quale dovrebbe espletarsi l'attività del ricorrente è notoriamente caratterizzata da un alto tasso di criminalità, organizzata e non.

Il rapporto di affinità più volte menzionato, sulla cui sussistenza in concreto non esistono dubbi, appare elemento più che idoneo a giustificare il rigetto di trasferimento, senza necessità di ulteriori spiegazioni, atteso che si tratta di apprezzamento rimesso all'esclusiva competenza dell'organo preposto all'organizzazione ed utilizzazione del personale da adibire alle varie strutture organizzative in cui si articolano i vari uffici periferici della Polizia di Stato.

È appena il caso di precisare che il richiamo al rapporto di affinità esistente tra la sorella del ricorrente e il fratello di suo marito, non implica un giudizio di disfavore sulle qualità personali e professionali dell'interessato, la cui irreprensibile condotta emerge chiaramente anche dalla documentazione esibita, ma costituisce la valutazione di opportunità di una diversa utilizzazione dell'interessato, da parte dell'organo che, operando nella zona, intende evitare la sia pur minima potenziale possibilità di riflessi negativi nei riguardi dell'istituzione che rappresenta.

Alla luce delle considerazioni che precedono, pur apparendo comprensibili le aspettative del ricorrente, si deve escludere che il giudice amministrativo possa sostituirsi all'amministrazione nell'apprezzamento di fatti e circostanze che sono alla base delle sua scelte organizzative, allorché queste, come nella specie, non risultino né illogiche né irragionevoli.

2. A conclusioni negative deve pervenirsi anche con riguardo alla questione del diniego di accesso agli atti e ai documenti, sollevata con il terzo dei ricorsi di primo grado.

Come esattamente rilevato dal giudice di primo grado, posto che l'accesso era finalizzato all'acquisizione di atti e documenti idonei a conoscere le ragioni che avevano indotto l'Amministrazione ad adottare le determinazioni di rigetto della sue reiterate richieste di trasferimento, appare evidente che, una volta che tali ragioni sono state successivamente esplicitate e identificate dalla stessa Amministrazione nel più volte richiamato rapporto di affinità della sorella del ricorrente con il fratello di un noto pregiudicato, che il ricorrente non aveva alcun interesse al predetto accesso.

3. In conclusione, l'appello va respinto.

Le spese del grado possono essere compensate interamente, sussistendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo respinge.

Spese del grado compensate.