Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 17 febbraio 2004, n. 616
FATTO
Con ricorso dinanzi al T.A.R. per il Veneto notificato il 20 settembre 2001 e depositato il 24 settembre successivo, la dr.ssa Federica B. chiedeva l'annullamento: a) della decisione, di cui al verbale di adunanza del 23 maggio 2001, con cui la VI Sottocommissione per gli esami di avvocato, sessione 2000, aveva annullato il giudizio di ammissione alla prova orale della ricorrente; b) della decisione di cui al verbale 5 settembre 2001, con cui la VI Sottocommissione per gli esami di avvocato - sessione 2000 - aveva respinto l'istanza della ricorrente volta ad ottenere il riesame della decisione di annullamento delle prove scritte.
La ricorrente aveva partecipato all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato - sessione 2000, ed ai suoi elaborati era stato attribuito il n. 1456; tali elaborati erano stati esaminati, nel corso dell'adunanza del 23 maggio 2001, dalla VI sottocommissione, la quale, dopo aver valutato sufficienti le tre prove, aveva successivamente annullato quella costituita dalla redazione dell'atto giudiziario, avendo riscontrato numerose corrispondenze con l'elaborato svolto dal candidato n. 1457, la cui prova era stata parimenti annullata.
La conseguente esclusione della B. era stata da questa gravata con il ricorso dinanzi al T.A.R. Veneto, tra l'altro, contestando che la disciplina di cui al r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, e segnatamente l'art. 23, III comma («La commissione, nel caso in cui accerti che il lavoro sia in tutto o in parte copiato da altro lavoro o da qualche pubblicazione, annulla la prova»), consentisse l'esclusione di un candidato, fondata su concordanze del suo elaborato con quello di altro esaminando, qualora non sia positivamente accertato che egli abbia copiato il lavoro di quest'ultimo o che tale operazione sia stata reciproca: nella fattispecie, secondo la ricorrente, la commissione, avendo ammesso di non essere in grado di individuare l'autore della violazione, non aveva il potere di annullare le prove svolte da entrambi i candidati, ma doveva ammetterli, ove i loro lavori fossero risultati - come nel suo caso - sufficienti.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 3143/2001, meglio indicata in epigrafe - resa in forma semplificata, ai sensi dell'art. 26, commi 4 e 5, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare - riconosciuta la pedissequa conformità di buona parte dell'elaborato redatto dalla ricorrente con quello del candidato n. 1457 «sicché è certo che la prova, almeno per uno dei due concorrenti, non costituisce espressione delle sue effettive capacità professionali» e ritenuto, dopo aver esaminato gli elaborati originali, non ragionevolmente possibile stabilire se uno dei due candidati abbia avuto nella vicenda un ruolo del tutto passivo, ovvero inconsapevole, richiamava un proprio precedente conforme - sentenza 8 ottobre 2001, n. 3009 - con cui aveva accolto un analogo ricorso, rilevando come il disposto dell'art. 23, u.c., r.d. 22.1.1934, n. 37, secondo il quale "la commissione nel caso in cui accerti che il lavoro sia in tutto o in parte copiato da altro lavoro o da qualche pubblicazione, annulla la prova" risulta riferito esclusivamente al prodotto della azione di copiatura (o di redazione in collaborazione) che si è inteso sanzionare, con onere della prova a carico dell'amministrazione procedente, che non può essere assolto in base a presunzione semplice, trattandosi di annullamento che discende da un vizio e non di una presa d'atto di una oggettiva inidoneità dell'elaborato stesso a dimostrare un certo grado di preparazione del redattore e che, altrimenti opinando, si finirebbe col sanzionare anche comportamenti incolpevoli.
Il T.A.R., quindi, non ravvisando ragioni per discostarsi da tale orientamento, riteneva di accogliere il ricorso, annullando la determinazione d'annullamento della prova, e la consequenziale esclusione della B., con conseguente ammissione alla fase orale dell'esame; le spese di giudizio venivano, invece, compensate fra le parti.
Con atto di appello notificato il 28 dicembre 2001 e depositato il 26 gennaio 2002, il Ministero della Giustizia ha impugnato tale decisione, deducendone l'erroneità e chiedendone l'annullamento, previa sospensione, sotto un unico articolato motivo, concernente la violazione e falsa applicazione dell'art. 23, ultimo comma, r.d. 22 gennaio 1934, n. 37.
Si è costituita l'appellata dr.ssa B., depositando atto di costituzione e documenti e chiedendo il rigetto del gravame, siccome infondato nel merito, con vittoria delle spese di giudizio.
Con ordinanza n. 2509 del 18 giugno 2002 questa Sezione ha accolto l'istanza cautelare dell'Amministrazione ed ha, quindi, sospeso l'efficacia della sentenza impugnata, ritenendo che "l'interpretazione dell'art. 23 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, resa dalla Commissione esaminatrice nell'annullare gli elaborati conformi tra loro, appare in linea con l'orientamento della Sezione (tra le altre la decisione n. 571 del 18.7.90)".
Con memorie in data 12 giugno 2002 e 3 novembre 2003 l'appellata ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive, riproponendo anche i motivi non esaminati dal T.A.R. in quanto assorbiti; ha, altresì, specificato che, a seguito della sentenza di primo grado, ha superato le prove orali dell'esame di avvocato, per cui, a suo dire, vi sarebbe un'improcedibilità dell'appello avversario per cessazione della materia del contendere o comunque per sopravvenuto difetto di interesse.
Alla pubblica udienza del 18 novembre 2003 la causa è stata spedita in decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente esaminare l'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'appellata in sede di memoria, di improcedibilità dell'appello per cessazione della materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse a seguito del superamento dell'orale degli esami di avvocato.
Tale eccezione è infondata e va, pertanto, rigettata.
A parte il rilevo che la stessa appellata nella memoria del 3 novembre 2003 (a pag. 1) afferma di avere "un interesse morale al riconoscimento della validità del proprio esame e ad una favorevole decisione di merito", giova, comunque, precisare che, ad avviso del Collegio, nel caso, come quello in esame, in cui il candidato, a seguito della impugnazione della determinazione della commissione per gli esami di abilitazione alla professione forense di annullamento della prova scritta valutata positivamente che risulti copiata da altro elaborato, venga ammesso, grazie ad una pronuncia non definitiva (resa in sede cautelare o di merito non importa) a lui favorevole, agli esami orali e li superi, l'ammissione così disposta si limita a consentire la partecipazione dell'escluso alle prove orali, ma non può produrre anche gli effetti ritraibili da una pronuncia definitiva di merito, la quale soltanto, rimuovendo dalla realtà giuridica il provvedimento di annullamento della prova scritta, è in grado, da un lato, di restituire al concorrente escluso la pienezza dei diritti e, dall'altro, di costituire l'obbligo per la P.A. di attribuire allo stesso tutte le posizioni di vantaggio scaturenti dal superamento delle prove di esame, divenute oramai inattaccabili.
Tanto premesso in ordine all'eccezione pregiudiziale di rito, si può ora passare ad esaminare il merito, e, cioè, la fondatezza o meno dell'impugnazione in esame.
L'appello è fondato.
Come si è visto nella parte narrativa del fatto il T.A.R. Veneto ha motivato l'accoglimento del ricorso ribadendo un proprio precedente orientamento con cui aveva affermato che il disposto dell'art. 23, u.c., r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, secondo il quale "la commissione nel caso in cui accerti che il lavoro sia in tutto o in parte copiato da altro lavoro o da qualche pubblicazione, annulla la prova" risulterebbe riferito esclusivamente al prodotto della azione di copiatura (o di redazione in collaborazione) che si è inteso sanzionare, con onere della prova a carico dell'amministrazione procedente, che non potrebbe essere assolto mediante presunzione semplice, trattandosi di un annullamento che discende da un vizio e non di una presa d'atto di una oggettiva inidoneità dell'elaborato stesso a dimostrare un certo grado di preparazione del redattore - ciò che apparirebbe insostenibile tanto con riferimento alla prova "originale" carpita al suo, consapevole o meno, estensore, che con riferimento alla stessa copia - aggiungendosi che, altrimenti opinando, si finirebbe col sanzionare anche comportamenti incolpevoli.
Tale opzione ermeneutica non appare condivisibile.
E, invero, come rilevato anche dal Ministero appellante, la giurisprudenza di questo Consiglio è ormai costante nel ritenere non necessaria, per l'annullamento della prova, l'individuazione del soggetto attivo della copiatura, in quanto la commissione per gli esami di abilitazione all'esercizio della professione forense può procedere legittimamente all'annullamento degli elaborati presentati da due o più candidati sulla base del mero accertamento della loro conformità e senza obbligo di ulteriori indagini e motivazioni, giacché l'art. 23, ultimo comma, r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 - nella parte in cui dispone l'annullamento degli elaborati che risultino copiati si riferisce non solo all'ipotesi che detta conformità sia conseguente all'utilizzo di una fonte comune, ma anche al caso in cui uno dei candidati abbia consentito o anche solo tollerato che il suo elaborato fosse copiato da altri (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27 settembre 1989, n. 626; id., 18 luglio 1990, n. 571; id., 19 marzo 1991, n. 200; id., 24 giugno 1991, n. 508; id., 10 ottobre 1994, n. 785).
A tale conclusione questo Consiglio - com'è noto - è pervenuto sulla base di un compiuto riesame della materia, che ha consentito di superare e comporre iniziali incertezze giurisprudenziali. Da tale indirizzo questo Collegio non ritiene di doversi discostare, non ravvisandosene fondate ragioni.
E, invero, il disposto dell'art. 23, ultimo comma, cit. va letto in stretta connessione con il divieto fatto ai partecipanti alla procedura selettiva dai precedenti artt. 20, secondo comma e 21, di comunicare fra di loro e di portare nella sede degli esami libri, scritti ed appunti di qualsiasi genere e con l'espressa previsione - per il caso di inottemperanza - di esclusione dall'ulteriore corso degli esami, previo annullamento delle prove già iniziate ovvero anche completate.
Il che comporta che la commissione, ove in sede di correzione degli elaborati riscontri che due o più di essi siano conformi fra di loro, deve ragionevolmente ritenere che tale circostanza sia conseguente alla inosservanza del divieto di cui si è detto, e, cioè, di consultare libri o appunti ovvero di comunicare durante lo svolgimento delle prove.
L'accertata violazione da parte dei candidati di una regola di comportamento, chiaramente ispirata dall'esigenza di garantire la regolarità degli esami e la par condicio degli esaminandi, è, pertanto, sufficiente a giustificare l'annullamento degli elaborati riscontrati conformi fra di loro, senza che la commissione debba previamente individuare la fonte utilizzata per la copiatura ovvero chi, fra i candidati, abbia autonomamente redatto l'elaborato e chi, invece, si sia limitato a copiarlo, trattandosi di circostanze ininfluenti e tali, comunque, da non giustificare distinzioni o graduazioni di responsabilità.
I candidati i cui elaborati risultino conformi, devono, quindi, ritenersi tutti egualmente inottemperanti alla regola di condotta imposta dal legislatore e, conseguentemente, tutti egualmente passibili della sanzione (l'annullamento della prova d'esame) prevista per tale evenienza.
Il limite che la commissione incontra nell'esercizio del potere di annullamento deve essere, invece, individuato nella riscontrata effettiva conformità degli elaborati, che faccia ragionevolmente presumere che essa sia il risultato della iniziativa o dell'accordo di più candidati.
Nella specie, è pacifico che gli elaborati messi a raffronto sono pressoché identici, tanto ciò vero che, come ammesso dallo stesso giudice di primo grado, "va riconosciuta la pedissequa conformità di buona parte dell'elaborato redatto dalla ricorrente con quello del candidato n. 1457, sicché è certo che la prova, almeno per uno dei due concorrenti, non costituisce espressione delle sue effettive capacità professionali" (cfr. pag. 3 sentenza impugnata).
Solo che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, l'annullamento di entrambe le prove non è collegato ad una presunzione di copiatura reciproca, quanto piuttosto alla circostanza che gli elaborati, per il solo fatto della loro identità o similarità totale o parziale, sono stati redatti in violazione delle regole di comportamento stabilite dalla legge per la compilazione delle prove scritte, regole poste dall'ordinamento a garanzia della correttezza degli esami ed a tutela della par condicio dei concorrenti.
Quanto alle censure non esaminate dal T.A.R. in quanto assorbite e riproposte in sede di memoria dall'appellata, relative al vizio di eccesso di potere per insufficienza della motivazione e per travisamento dei fatti, nonché relative alla riproposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, ult. comma, r.d. n. 37/34, deve dirsi che essa appaiono infondate, alla luce di quanto sopra detto in ordine alla legittimità della decisione di procedere all'annullamento degli elaborati presentati da due (o più) candidati sulla base del mero accertamento della loro conformità, senza necessità di ulteriori indagini o di ulteriore analitica motivazione o verbalizzazione, avendosi la prova, o quantomeno una ragionevole presunzione, della violazione delle regole di condotta che presiedono lo svolgimento degli esami. Pertanto, è legittima la decisione di annullare entrambi gli elaborati, non apparendo essa contrastante con i dati di fatto ed è, per contro, manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 23, ult. comma, r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, non apparendo tale norma manifestamente irragionevole, alla luce delle finalità che intende perseguire e degli interessi che intende salvaguardare (correttezza delle prove di esame e par condicio degli aspiranti).
Né, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellata, rileva la circostanza che il verbale del 23 maggio 2001 non citi alcuna norma a sostegno del potere di annullamento dei compiti, dal momento che sia da tale verbale che da quello del 5 settembre 2001 emergono chiaramente i momenti rilevanti dell'attività (presupposti di fatto) e le motivazioni (ragioni giuridiche) delle determinazioni assunte.
Del tutto fuor di luogo, infine, appare il richiamo al principio della inammissibilità della motivazione "postuma", con riguardo ai suddetti verbali del 23 maggio e del 5 settembre del 2001, dal momento che tale principio riguarda il divieto della integrazione della motivazione in sede giudiziale e non già in sede di procedimento amministrativo.
Per tutti i suesposti motivi l'appello in esame deve, pertanto, essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n. 641/2002, in epigrafe meglio specificato, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della impugnata decisione, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna l'appellata alla rifusione delle spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio in favore dell'Amministrazione appellante, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), di cui euro 2.000,00 (duemila/00) per il primo grado ed euro 3.000,00 (tremila/00) per il secondo.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.