Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Reggio Calabria
Sentenza 12 maggio 2008, n. 248

FATTO E DIRITTO

Premettono in fatto le ricorrenti che il Comune di Monasterace, con delibera C.C. 3 dicembre 1979, n. 134, approvava il progetto ed il piano parcellare di espropriazione per la realizzazione di un campo sportivo, che interessava una superficie di mq. 16.040, di proprietà di Ester di Francia, dante causa delle ricorrenti.

Il provvedimento dichiarava la pubblica utilità e l'indifferibilità ed urgenza dell'opera e fissava, ai sensi dell'art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359, in quattro anni dalla data della delibera (e, perciò, al 3 dicembre 1983), il termine per il completamento dei lavori e delle espropriazioni.

Con decreto 24 marzo 1980 n. 2 del Sindaco, era autorizzata l'occupazione d'urgenza, per la durata di cinque anni dall'immissione in possesso, che seguiva il 18 aprile 1980.

Con decreto 15 febbraio 1986, n. 735, il Sindaco di Monasterace determinava, in Lire 21.172.800, ed offriva l'indennità provvisoria di espropriazione e ne effettuava, con polizza 9 aprile 1986, il deposito presso la Cassa depositi e Prestiti, in favore della proprietaria.

Con decreto nella stessa data 9 aprile 1986, pronunziava l'espropriazione del terreno.

Deducono, pertanto, la intempestività del decreto, in mancanza di una motivata proroga dei termini di cui all'art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359, stante la inapplicabilità, alla fattispecie in esame, delle varie proroghe legislative dei termini delle occupazioni.

Chiedono, quindi, il risarcimento del danno per equivalente, ovvero la restituzione del bene ridotto in pristino e il compenso per il periodo di occupazione illegittima, in relazione al terreno sito in Monasterace, in catasto al foglio 7, particella 98, esteso mq. 16.040, invocando la disapplicazione del decreto di esproprio emesso fuori termine, da considerarsi inutiliter dato.

Costituitosi il Comune:

- ha chiesto in via preliminare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., attesa la pendenza del giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio relativa allo stesso fondo;

- ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento,

- ha chiesto, in subordine, dichiararsi inammissibile la pretesa restitutoria, e condannarsi il Comune al pagamento del risarcimento per equivalente.

A seguito di deposito, il 9 novembre 2007 di memoria del Comune resistente con cui il legale dell'ente resistente ha dichiarato di aver reperito le delibere di proroga dei termini ex art. 13 cit., rilevando, di conseguenza, la tempestività del decreto de quo, le ricorrenti impugnano con motivi aggiunti sia la delibera G.M. del Comune di Monasterace, datata 31 dicembre 1982, n. 433, con la quale erano prorogati di quattro anni dalle rispettive scadenze i termini per il compimento della procedura espropriativa per la realizzazione del campo sportivo; sia la delibera 1° dicembre 1986, n. 183 del Consiglio Comunale di Monasterace, che ratificava la delibera della Giunta 31 dicembre 1982, n. 433, denunziandone:

- la violazione del combinato disposto dell'art. 1 della l. 3 gennaio 1978, n. 1 e degli artt. 139 e 140 del t.u. 4 febbraio 1915, n. 148 (abrogati, questi ultimi, dall'art. 64 della l. 8 giugno 1990, n. 142, ma vigenti all'epoca dell'adozione della delibera e dello stesso art. 13 della l. 25 giugno 1865, n. 2359) e

- l'eccesso di potere sotto il profilo della perplessità della motivazione e del travisamento dei fatti.

Disposta c.t.u. con ordinanza del 31 aprile 2007, la causa all'udienza del 23 aprile 2008 è stata trattenuta in decisione.

1. Per quanto incontestata dalle parti, sussiste la giurisdizione di questo Tar in ordine alla controversia portata all'attenzione del Collegio.

Essa, infatti, tende ad ottenere la riparazione delle conseguenze prodotte da un'occupazione divenuta, nella prospettazione delle ricorrenti, sine titulo in considerazione della tardività del decreto di esproprio, determinata dalla illegittimità delle delibere di proroga degli originari termini.

Il Comune avrebbe, infatti, secondo la tesi prospettata nel ricorso introduttivo e nel ricorso proposto con motivi aggiunti :

- avviato una procedura espropriativa;

- occupato il terreno delle ricorrenti in virtù di un decreto di occupazione di urgenza;

- emesso il decreto di esproprio a termini già scaduti, stante la illegittimità delle delibere di proroga;

- continuato ad occupare sine titulo il bene già materialmente appreso alla dante causa delle ricorrenti.

La pretesa azionata, dunque, trova causa in un comportamento evidentemente connesso all'esercizio di pubbliche potestà, rilevante ai fini dell'attribuzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del G.A., per come modulata dal quadro normativo derivante dagli art. 34 d.lgs. 80/1998 e 53 t.u. espr., all'esito delle fondamentali pronunzie della Corte Cost. nn. 204/2004 e 191/2006 che hanno escluso dalla giurisdizione esclusiva prevista da tali norme solo le controversie derivanti da comportamenti della p.a. tenuti iure privatorum ovvero consistenti nelle c.d. vie di fatto.

Del tutto irrilevante è la natura risarcitoria/restitutoria delle pretese azionate, in considerazione del carattere servente e non autonomo della tutela in questione.

2. Stabilita la giurisdizione di questo Giudice, va esclusa l'applicabilità, alla presente controversia dell'istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. a causa della pendenza del giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio.

Infatti, controversia sull'opposizione non influisce sulla decisione di quella odierna, stante l'assenza di un rapporto di pregiudizialità logica o giuridica della prima sulla seconda, vero essendo, piuttosto, il contrario in quanto l'annullamento o la disapplicazione (di cui si discute nell'odierno giudizio) del decreto di esproprio renderebbe improcedibile il giudizio di opposizione alla stima.

3. Poiché la illegittimità delle delibere di proroga della scadenza dei termini fissati ex art. 13 cit. determinerebbe la tardività del decreto di esproprio, il rigoroso ordine logico delle questioni imporrebbe la trattazione preliminare delle censure dedotte con motivi aggiunti.

Tuttavia, l'inversione dell'ordine di trattazione è imposta dall'inammissibilità del ricorso proposto con motivi aggiunti per carenza di interesse, determinata dalla inaccoglibilità della tesi delle ricorrenti in ordine agli effetti della tardiva emanazione del decreto, pur laddove se ne riconoscesse la intempestività.

Ritengono le ricorrenti che il decreto di esproprio emesso fuori termine sia inutiliter dato e, pertanto, disapplicabile.

La tesi trova un autorevolissimo fondamento in svariate pronunce della Suprema Corte di Cassazione, puntualmente citate nelle pregevoli memorie difensive di parte ricorrente.

Tale tesi, nonostante l'alto livello della ricostruzione teorica da cui trae origine, non è condivisa da questo Tar.

Ritiene, infatti, il Collegio che laddove esista una norma attributiva del potere di emettere l'atto autoritativo, ma questo venga emanato senza rispettare i presupposti previsti da essa per la corretta esplicazione del potere conferito, si configuri una violazione di legge.

Questa sussiste tutte le volte in cui venga violata una qualsivoglia regola posta dall'ordinamento giuridico e va qualificata quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo unitamente ed al pari dell'incompetenza o dell'eccesso di potere.

La previsione, ex art. 13 cit., di termini per l'emanazione del decreto di esproprio, configura un precetto posto dalla legge ed indirizzato all'amministrazione pubblica al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi poteri.

La sua violazione, pertanto, va qualificata come violazione di legge ossia come vizio di legittimità dell'atto amministrativo.

Se il mancato rispetto dei presupposti a cui la norma riconnette la corretta esplicazione del potere configura un vizio di legittimità dell'atto e la previsione dei termini ex art. 13 cit. altro non è se non presupposto per la legittima esplicazione del potere, è evidente che il precipitato logico del ragionamento seguito consiste nella qualificabilità della violazione dei termini fissati per l'emanazione del decreto di esproprio quale vizio dell'atto da farsi valere negli ordinari termini decadenziali, pena la inoppugnabilità dello stesso ed il divieto, per il Giudice Amministrativo, di disapplicazione.

Volendo riassumere in estrema sintesi il ragionamento seguito dovrebbe così dirsi:

Data la norma attributiva in astratto del potere autoritativo,

- la violazione di ogni precetto posto dal legislatore quale vincolo per l'agire amministrativo configura una violazione di legge, ossia un vizio di legittimità dell'atto da farsi valere nei consueti termini decadenziali;

- la previsione dei termini ex art. 13 cit. configura tale tipo di precetto;

- la loro violazione configura, pertanto una violazione di legge da farsi valere quale vizio di legittimità dell'atto amministrativo nei termini decadenziali;

La tesi qui seguita si inserisce nell'annoso dibattito tra le Supreme Magistrature Ordinaria ed Amministrativa in ordine alla tematica della configurabilità della carenza di potere in concreto.

I termini della questione e la posizione dei due ordini giudiziari sono ben noti e gli argomenti spesi a favore dell'una e dell'altra tesi sono ormai consolidati, sicché sul punto non può che rimandarsi alle posizioni già espresse dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nelle decisioni nn. 8/2002 e 4/2003 (invero riguardati il diverso caso di dichiarazione di pubblica utilità emessa senza la indicazione dei termini di inizio e, soprattutto, di ultimazione dei lavori, ma applicabili anche alla fattispecie in esame).

La tesi della configurabilità della carenza di potere in concreto relativamente ad un decreto di esproprio emesso fuori termine e la sua conseguente disapplicabilità, non convince questo Collegio perché essa è foriera di un insuperabile grado di incertezza, in quanto ancora nessun teorico della categoria in esame è stato in grado di determinare quale sia il criterio discretivo tra il requisito previsto dalla legge quale presupposto per l'esercizio del potere e, dunque, per la configurabilità della carenza di potere in concreto ed il requisito previsto dalla legge per il suo corretto esercizio e, dunque, per la configurabilità della violazione di legge. È infatti di tutta evidenza che così ragionando qualunque violazione di legge sarebbe qualificabile come presupposto per l'esercizio del potere in funzione del diritto soggettivo, con buona pace del vizio di violazione di legge.

Per le ragioni suesposte, in assenza di una tempestiva impugnazione del decreto di esproprio emesso fuori termine, resta escluso che esso possa essere considerato altro che un atto illegittimo divenuto inoppugnabile per mancato esperimento della tempestiva tutela giurisdizionale.

4. Affermata la qualificabilità del vizio posto a fondamento della pretesa azionata quale vizio di legittimità non tempestivamente dedotto, resta da verificare se ai fini risarcitori/restitutori sia, comunque consentita la disapplicazione dell'atto.

Posto che l'obbligo di restituzione del bene sarebbe disceso direttamente dalla sentenza di annullamento del decreto di esproprio - che, diversamente configura un idoneo titolo giustificativo dell'occupazione del bene - il divieto di disapplicazione a fini restitutori deriva direttamente dal principio di inoppugnabilità.

La tematica della disapplicazione dell'atto a fini risarcitori, va invece risolta spostando l'analisi sul tema della pregiudizialità.

Il Collegio ritiene di aderire alla tesi - già fatta propria dall'Adunanza Plenaria con le decisioni nn. 4/2003 e 12/2007 ed anche dalla IV Sezione con la decisione n. 2136/2007 - che ammette la tutela risarcitoria solo laddove venga esperita con successo la quella demolitoria.

Le ragioni che militano in favore di tale tesi, rinviando alle decisioni già citate per una loro puntuale esplicazione, sono:

- in primo luogo storiche in quanto, premessa la natura di interesse legittimo della posizione tutelata e la natura servente della tutela risarcitoria, è sempre stato richiesto il preventivo annullamento dell'atto fonte di danno all'interesse legittimo, sia perché per la originaria posizione giurisprudenziale che negava la risarcibilità degli interessi legittimi, ciò era necessario per consentire alla posizione soggettiva di riespandersi a diritto soggettivo (la cui risarcibilità era consentita), sia perché le varie normative di settore che espressamente consentivano la tutela degli interessi pretensivi, altrettanto espressamente richiedevano il previo annullamento;

- in secondo luogo logiche, per il principio di non contraddizione dell'ordinamento e certezza del diritto che verrebbero seriamente incrinati laddove si ammettesse da un lato la insindacabilità dell'atto inoppugnabile nell'ambito della tutela demolitoria e dall'altro si prevedesse il vaglio della sua legittimità nell'ambito della tutela risarcitoria, così svuotando di significato le conseguenze dell'inoppugnabilità, relativamente a tale profilo;

- inoltre sistematiche, perché la tutela risarcitoria è tutela ulteriore dell'interesse legittimo, la cui natura accessoria presuppone che siano stati esperiti i rimedi rituali a tutela della posizione giuridica lesa;

- infine letterali, perché la tutela risarcitoria dinanzi al G.A., prevista in termini generali dall'art. 7, co 3 3, l. 1034/1971, lo è "nell'ambito della sua giurisdizione", tale essendo quella impugnatoria.

A tali argomenti ne va aggiunto uno ulteriore di carattere logico: diversamente opinando, infatti, si dovrebbe necessariamente escludere dalla tutela risarcitoria apprestabile dal G.A. quella in forma specifica, al fine di evitare l'aggiramento dei termini decadenziali attraverso la tutela risarcitoria.

L'affermazione merita di essere chiarita ed a tal fine vanno poste tre premesse:

1) La tutela risarcitoria può essere apprestata sia in forma specifica sia per equivalente.

Le due forme risarcitorie sono alternative, ma - in linea di massima - va preferita quella in forma specifica, perché consente al danneggiato di ottenere esattamente il bene della vita di cui è stato ingiustamente privato, così assicurando l'attuazione del principio di effettività della tutela.

2) Il risarcimento in forma specifica, di norma, coincide con gli effetti della tutela demolitoria. Si pensi ai casi in cui venga richiesto il risarcimento del danno per l'illegittima esclusione da una procedura ad evidenza pubblica o per la mancata aggiudicazione di essa. In tali ipotesi la ripetizione, parziale o totale della gara, derivante dall'annullamento dell'atto, ben si atteggia quale risarcimento in forma specifica.

3) Per il principio di non contraddizione, non può, attraverso il riconoscimento della tutela risarcitoria in forma specifica, consentirsi una sostanziale elusione dei termini decadenziali previsti per l'impugnativa degli atti amministrativi.

Pertanto, se non viene esperita la tutela demolitoria, appare impensabile condannare l'amministrazione a risarcire in forma specifica, perché ciò si risolverebbe in una negazione del principio di inoppugnabilità dell'atto.

Ciò significa che:

- poiché il riconoscimento della tutela risarcitoria in forma specifica si concretizza nell'eliminazione delle conseguenze dannose dell'atto;

- poiché l'eliminazione di tali conseguenze è il normale effetto della tutela demolitoria (laddove questa intervenga tempestivamente);

- poiché, tuttavia, non essendo consentita l'elusione dei termini decadenziali, non possono assicurarsi le utilità della tutela demolitoria, non essendo stata essa tempestivamente esperita,

- si dovrebbe escludere il risarcimento in forma specifica tutte le volte in cui non vi sia stato il preventivo annullamento.

Ciò comporterebbe la automatica concentrazione della tutela risarcitoria nell'unica forma del risarcimento per equivalente, con esclusione in astratto di quelle utilità che, invece, più appaino conformi al principio di effettività della tutela sancito dall'art. 24 della Carta Costituzionale.

5. Quanto agli effetti del mancata impugnativa dell'atto che si assume fonte di danno, ritiene il Collegio che essa vada qualificata come causa di rigetto nel merito del ricorso e non di inammissibilità.

Infatti, se non viene esperita la tutela impugnatoria risulta insindacabile la legittimità dell'atto e dunque indimostrata l'antigiuridicità della condotta.

Da ciò consegue il rigetto della pretesa risarcitoria perché non risulta assolto l'onere probatorio in ordine ad uno degli elementi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c.

6. L'impugnativa degli atti proposta con motivi aggiunti va giudicata inammissibile per difetto di interesse, in quanto dalla pronuncia di annullamento delle delibere di proroga dei termini per l'emanazione del decreto di esproprio le ricorrenti non trarrebbero alcuna utilità, poiché per le ragioni sopra esposte avrebbe dovuto, comunque, essere impugnato anche il decreto ablatorio emesso oltre i termini originariamente stabiliti.

7. Le spese, stante la non univocità dell'orientamento giurisprudenziale nella materia oggetto di controversia, possono essere compensate, ad eccezione di quelle per la disposta c.t.u., che restano definitivamente a carico di parte ricorrente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, così provvede:

- rigetta la domanda risarcitoria;

- dichiara inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto con motivi aggiunti;

- compensa integralmente le spese ad eccezione di quelle per la c.t.u. che restano definitivamente a carico di parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.