Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 26 gennaio 2007, n. 1752

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.D., con atto del 26 novembre 1986, citò dinanzi al Tribunale di Napoli il Comune di Portici e - premesso che detto ente territoriale, con delibera di giunta n. 2584 del 30 giugno 1981, gli aveva affidato la direzione dei lavori relativi alla costruzione del mercato coperto in via Arlotta; che aveva accettato e successivamente eseguito l'incarico ricevuto; che la P.A. committente non aveva inteso pagare il relativo compenso, come da parcelle vistate dal proprio ordine professionale, in relazione ai lavori eseguiti sino alla data in cui era stato revocato dall'incarico (marzo 1994) - domandò la condanna del convenuto a corrispondergli la somma di lire 338.415.618, oltre interessi e accessori, per il titolo dedotto o, in subordine, in caso di contestazione, quale indennizzo ex art. 2041 c.c.

L'adito tribunale, con sentenza del 6 luglio 1994, resa nel contraddittorio e nella resistenza del Comune di Portici, rigettò la pretesa come sopra azionata dall'istante, per la nullità del contratto di opera professionale, privo della forma scritta e di previsione di spesa e dei mezzi per farvi fronte, in contrasto con l'art. 284 ss. t.u. legge comunale e provinciale; disattese, altresì, una domanda di condanna ex art. 1337 c.c., in quanto introdotta in corso di causa, e la domanda di indebito arricchimento, poiché in parte prescritta e in parte priva del requisito della sussidiarietà; respinse, infine, essendo irripetibile quanto pagato in adempimento di un debito prescritto, la riconvenzionale svolta dall'ente convenuto relativa alla restituzione della somma, pari a lire 108.900.000, corrisposta all'attore a titolo di acconto.

Prodotti gravami, la Corte d'appello di Napoli accolse l'appello del D. e respinse quello del Comune di Portici, che condannò a versare all'attore l'equivalente in euro di lire 338.415.618.

Esposte preliminarmente le vicende processuali, la Corte territoriale rilevò che per i contratti della P.A. in cui non vi è margine di negoziazione per essere i contenuti dell'incarico interamente previsti da provvedimenti amministrativi, il requisito della forma scritta richiesta ad substantiam è integrato anche quando offerta e accettazione risultino da atti scritti non contestuali. Nella fattispecie vi era stato l'incontro delle volontà negoziali; dopo l'approvazione della delibera n. 2584/1981 da parte del Co.re.co., il Comune di Portici, con lettere dell'assessore al commercio e in seguito - in data 28 maggio 1982 - del sindaco, comunicò al D. il conferimento dell'incarico che questi dichiarò di accettare. In particolare, la lettera dell'assessore, sottoscritta "per il sindaco", provenne da organo provvisto della rappresentanza esterna, operando nelle veci del soggetto titolare di detta rappresentatività. Il diritto del professionista al compenso resta insensibile agli eventuali vizi della deliberazione comunale di conferimento dell'incarico, quale quello derivante dall'inosservanza dell'obbligo, previsto dall'art. 284 del r.d. 383/1934, di indicare l'ammontare della spesa e dei mezzi per farvi fronte, rilevando detti vizi solo nell'ambito interno dell'organizzazione dell'ente territoriale. In ordine all'ammontare del compenso, il D. aveva agito in base alle parcelle approvate dall'ordine professionale, che non erano mai state contestate dal destinatario Comune di Portici come riconosciuto in una relazione dell'avvocatura municipale; anzi, la prima di dette parcelle, per lire 238.419.854, era stata anche approvata con delibera di giunta n. 1646 del 26 gennaio 1992; d'altro canto, l'attività descritta in parcella corrispondeva alle prestazioni effettivamente fornite, avendo il dirigente dell'U.T.C. espresso il nulla-osta per il pagamento della sorte capitale. Pretestuosi e privi di fondamento, oltre che riferiti alla (assorbita) domanda di arricchimento senza causa, si rilevavano, quindi, i rilievi mossi sul punto dall'ente appellato.

Il Comune di Portici ricorre, con sei motivi, per la cassazione della suindicata sentenza di secondo grado.

Resiste con controricorso il D., che ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale condizionato in base a un unico motivo.

Vi è memoria del ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.

Nel primo motivo di annullamento il Comune di Portici ricorda, preliminarmente, che, come non è mai stato contestato in causa ed è stato riconosciuto dallo stesso giudice d'appello, tutti i contratti dei quali sia parte una P.A. devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità e, giusta giurisprudenza di questa Corte, consacrati in un unico documento, salvo che la legge non autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza. Sottolinea, poi, che nella convenzione scritta la volontà dell'ente deve essere manifestata dal suo organo rappresentativo, rivolta all'altro contraente e da questi accettata. Rileva che la Corte ha disatteso tali principi giacché, nella specie, il presunto contratto sul quale il D. fonda la propria pretesa non è mai stato trasfuso in una vera e propria convenzione scritta e racchiusa in un unico documento. Lamenta, inoltre, che la Corte napoletana ha valorizzato due lettere sottoscritte dall'assessore al commercio - peraltro, non legittimato a funzioni vicarianti dell'organo dotato di rappresentanza esterna - e dal sindaco senza esaminarne il contenuto, privo di qualunque valore negoziale e consistente in semplici comunicazioni dell'adozione della delibera di incarico. Ne trae che il dedotto contratto non riveste la prevista forma scritta sicché è radicalmente nullo, e denuncia che la contraria affermazione della Corte napoletana viola gli artt. 1418, 1325, 1421, 1423, 2725 c.c., 17 r.d. 2240/1923, 87 t.u. legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 383/1934, ed è inficiata da vizio di motivazione.

Il motivo è fondato sotto il primo (e assorbente) dei profili di illegittimità della sentenza con esso denunziati.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata in questa sede, in punto di fatto è rimasto accertato che (a) nella prospettazione dell'attore l'incarico professionale è stato affidato dall'amministrazione comunale a mezzo di delibera della giunta municipale, (b) non si è fatto cenno ad alcun altro contratto di conferimento dell'incarico professionale, successivo e di attuazione, della suddetta delibera, (c) nessun documento, in tal senso, risulta prodotto in giudizio, all'infuori delle due lettere, riportanti il deliberato di giunta, inviate da assessore e sindaco al D. e della successiva missiva di costui di accettazione dell'incarico.

La fonte dell'obbligazione sarebbe, dunque, anzitutto, la delibera giuntale di conferimento dell'incarico richiamata in istorico. La sentenza, poi, rimarca la formale comunicazione - inviata dapprima, per il sindaco, dall'assessore comunale al commercio e in seguito dal sindaco personalmente - della delibera in parola, con invito a dare pronta esecuzione al progetto, e l'accettazione da parte del D. dell'incarico in tal guisa conferitogli. Tali documenti, prodotti in causa, costituirebbero per la Corte partenopea la prova dell'avvenuta manifestazione di proposta e accettazione e, quindi, dell'avvenuta conclusione, a distanza, del contratto, essendo a suo avviso consentito in alcuni casi, ove non sussista margine per la contrattazione sugli elementi costitutivi del negozio, l'assenza di una formale convenzione contestualmente sottoscritta dalle parti.

Va di contro osservato che il contratto con il quale l'amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta, ed è a questo fine irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, ove tale deliberazione non si sia tradotta in un unico atto contrattuale coevamente sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente e dal professionista, da cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da svolgersi e al compenso da corrispondersi. La legge sulla contabilità generale dello Stato, cui si richiamano le norme in tema di contratti degli enti locali, consente che, ferma restando la forma scritta, il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, soltanto quando esso intercorra con ditte commerciali (art. 17 r.d. 2240/1923, richiamato dall'art. 87 r.d. 383/1934). È evidente che in tali casi, per esigenza di praticità, la definizione del contenuto dell'accordo è rimessa all'uso del commercio, per quanto concerne sia i prezzi, sia le modalità di consegna.

Il conferimento di incarichi professionali aventi a oggetto opere complesse non può che essere suscettibile di accordi specifici, che richiedono la definizione dei vari elementi del rapporto, anche tenendo conto dell'eccezionalità del ricorso a tale sistema da parte dell'ente locale (ove non esista un ufficio tecnico ovvero quando lo rendano necessario la speciale natura delle operazioni o particolari motivi di urgenza: art. 285 r.d. 383/1934), al fine di consentire l'identificazione del contenuto negoziale e rendere possibili i controlli istituzionali di legittimità, previsti dall'art. 296 r.d. 383/1934, dei quali si configurava la necessità (come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa: C.d.S., Ad. plen., 49/1980) all'epoca cui risalgono i fatti di causa, cioè anteriormente all'entrata in vigore della l. 142/1990.

Tali principi sono stati enunciati da una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (cfr. Cass. 11930/2006, 8950/2006, 1702/2006, 19638/2005, 3042/2005, 22973/2004, 14808/2004, 2067/2003, 2832/2002, 8492/2002, 13628/2001, 59/2001, 11687/1999, 10956/1998, 2772/1998), alla stregua della quale, deve ribadirsi, ulteriormente, che per il contratto d'opera professionale (come nella fattispecie in esame, di direzione dei lavori), quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca iure privatorum, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. 2440/1923, come per ogni altro contratto stipulato dalla P.A. stessa, la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa nell'interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l'espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall'art. 91 Cost. Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.

Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d'una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l'esistenza di una deliberazione con la quale l'organo collegiale dell'ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all'ente, che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato a esprimere la volontà all'esterno.

Del pari, è escluso che un simile contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente. D'altra parte, la legge sulla contabilità generale dello Stato, richiamata dalle norme in tema di contratti degli enti locali, consente che, ferma restando la forma scritta, il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, quando esso intercorra con ditte commerciali (art. 17 r.d. 2240/1923, richiamato dall'art. 87 r.d. 383/1934); ma detta ipotesi costituisce una deroga rispetto non soltanto alla regola contenuta nel precedente art. 16, ma anche a quella posta dallo stesso art. 17, per cui "i contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa nel modo indicato al precedente art. 16, possono anche stipularsi per mezzo di scrittura privata firmata dall'offerente e dal funzionario rappresentante l'amministrazione". Essa, pertanto, non è prospettabile a sua volta come regola generale, nel senso che in qualsiasi contratto della P.A. la forma scritta ad substantiam debba ritenersi osservata anche quando il consenso si formi in base a atti scritti successivi atteggiantisi come proposta e accettazione tra assenti, ma è invocabile soltanto in quei negozi in cui, per esigenze di praticità, la definizione del contenuto dell'accordo è rimessa agli usi commerciali. E fra tali negozi non rientra sicuramente il conferimento di incarichi professionali aventi a oggetto complesse opere di progettazione o di direzione di lavori, il quale, anche tenendo conto dell'eccezionalità del ricorso al sistema della trattativa privata da parte dell'ente pubblico, postula, invece, accordi specifici e complessi, che richiedono la definizione dei vari aspetti del rapporto (tempi, compensi corrispondenti agli impegni di spesa assunti dall'ente, direttive), soprattutto al fine di rendere possibili i controlli istituzionali dell'autorità tutoria. Sicché, il contratto con cui la P.A. conferisce un incarico professionale deve essere non solo redatto per iscritto, escludendosi che la manifestazione di volontà delle parti possa essere implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi, ma anche consacrato in un unico documento nel quale siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto.

Dai cennati principi diverge la sentenza impugnata, dal cui testo (vedi, in particolare, pag. 10, ultimo capoverso) si ricava il contrario principio (correttamente denunziato come violazione di legge) in base al quale la regola generale secondo cui l'osservanza della forma scritta ad substantiam non richiede necessariamente la contestualità delle manifestazioni di volontà dei contraenti - sufficiente essendo che risultino per iscritto l'offerta e l'accettazione - opererebbe anche nei confronti dei contratti stipulati dalla P.A., che sarebbero suscettibili di conclusione per corrispondenza; e ciò sul presupposto (implicito nel discorso della Corte) che l'art. 17 della legge sulla contabilità generale dello Stato non introdurrebbe una deroga eccezionale al principio della contestualità delle dichiarazioni negoziali con riferimento ai soli contratti conclusi con imprenditori commerciali, ma confermerebbe il principio generale della non necessità della contestualità di proposta e accettazione.

Per l'inverso, va ribadito che l'unica ipotesi di contratto validamente concluso da una P.A. per mezzo di corrispondenza, e cioè tra assenti, sia pure con l'osservanza della forma scritta, è quella dei contratti conclusi con ditte commerciali, valendo in ogni altro caso l'obbligo della forma scritta contestuale a pena di nullità. Tale principio, peraltro, deve essere mantenuto fermo anche dopo l'abrogazione del testo unico delle leggi comunali e provinciali del 1934 che all'art. 87 richiamava il disposto della norma della legge di contabilità generale dello Stato, in quanto maggiormente consono all'evidenza pubblica del contratto, necessario al controllo istituzionale e della collettività sull'operato dell'ente e quindi, in definitiva, funzionale all'esigenza di assicurare l'imparzialità e il buon andamento della P.A.

L'accertata inesistenza, nella specie, di un negozio idoneo a far scaturire l'obbligo dell'Amministrazione di versare il compenso per l'attività di direzione dei lavori eseguita, stante l'inidoneità, in assoluto, di uno scambio di corrispondenza ai fini di una valida conclusione del contratto d'opera professionale, rende priva di azione causale la pretesa del D.

Il conseguente annullamento del capo della sentenza d'appello che ha dichiarato la sussistenza del requisito della forma scritta richiesta per la validità del contratto di conferimento di incarico professionale dedotto in giudizio dal D. e, di conseguenza, la validità di questo contratto, determina l'assorbimento dei motivi da 2 a 6 del ricorso, posto che gli stessi investono statuizioni della medesima sentenza relative a punti e a questioni dialetticamente subordinati. Infatti:

- il secondo motivo, ove si ravvisano gli identici vizi di violazione di legge e motivazionali di cui al primo, censura il riconoscimento al D. di un compenso esteso alla perizia di variante, mancando per tale attività di progettazione non solo un contratto scritto ma anche una delibera di incarico con il necessario impegno di spesa;

- il terzo motivo denuncia che il giudice d'appello ha violato ed applicato falsamente gli artt. 1418, 1421, 1423 e 1325 c.c., 284 t.u. legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 383/1934, oltre a essere incorso in vizi motivazionali, allorché ha affermato che il vizio della delibera di incarico consistito nella mancata indicazione dell'ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte non ne comporta la nullità o la inefficacia ma rileverebbe solo nell'ambito della organizzazione interna dell'ente;

- il quarto motivo imputa alla sentenza d'appello di aver violato ed applicato falsamente gli artt. 1988, 2720, 1418, 1325, 1421, 1423, 2725, 2233 c.c., 87 t.u. legge comunale e provinciale, 17 r.d. 2240/1923, 342, 112 e 636 c.p.c., 4, 6, 13, 14, 15 e 17 della l. 143/1949, e vizi di motivazione, posto che ha riconosciuto l'intero importo richiesto dall'attore, inclusivo delle tasse corrisposte all'ordine professionale per il rilascio dei pareri, senza alcuna verifica della fondatezza di tali pretese e, in particolare, delle singole voci indicate nelle parcelle alla luce della normativa vigente e della tariffa professionale allegata alla l. 143/1949;

- il quinto motivo censura - ravvisandovi la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421, 1423, 1325 e 2725 c.c., 87 e 284 t.u. legge comunale e provinciale, 17 r.d. 2240/1923, ed il vizio di motivazione - il rigetto dell'appello incidentale avente a oggetto la domanda riconvenzionale di restituzione della somma corrisposta al D. in esecuzione del contratto nullo e rigettata dal primo giudice ai sensi dell'art. 2940 c.c.;

- il sesto motivo caldeggia una nuova regolamentazione delle spese di lite a seguito della invocata riforma della sentenza impugnata.

Mediante il ricorso incidentale condizionato, il D. prospetta la violazione degli artt. 284 e 285 t.u. legge comunale e provinciale e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte del merito esaminato il motivo di appello con cui si era censurata la decisione del primo giudice anche in quanto la spesa relativa all'attività di direzione era stata regolarmente prevista mediante apposito stanziamento per spese tecniche.

Il ricorso è inammissibile.

Con massima pressoché stereotipata questa Suprema Corte è andata ripetendo che è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa sollevi una questione non esaminata dal giudice di appello perché ritenuta assorbita dall'accoglimento di altra tesi. In tale situazione, infatti, difetta la soccombenza, sia pure teorica, quale presupposto del diritto di impugnazione, mentre la questione medesima può sempre essere riproposta davanti al giudice di rinvio, ove, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata venga cassata. In altri termini, l'ammissibilità del ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato all'accoglimento del ricorso principale, postula pur sempre la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, determinato dalla soccombenza. Non ricorre il requisito della soccombenza se le questioni, sollevate dalla parte nel giudizio di appello e riproposte con il ricorso incidentale, lungi dall'essere state esaminate e risolte in senso ad essa sfavorevole, siano rimaste assorbite per avere il giudice di merito attinto la ratio decidendi da altre questioni di carattere decisivo. Nel caso in cui, in relazione a queste ultime questioni (assorbenti), la sentenza del giudice di appello venga cassata dalla Suprema Corte, rimangono impregiudicate le questioni dichiarate o considerate assorbite, che possono essere riproposte e discusse nel giudizio di rinvio (cfr., ex multis, sentt. 3029/1985, 151/1986, 8544/1987, 6572/1988, 1308/1989, 3463/1997, 7103/1998, 8924/1998, 4756/1999, 3908/2000, 9637/2001, 4050/2002, 14382/2002, 6542/2004, 17291/2004). Alla luce di tali principi, è inammissibile, per difetto di interesse alla cassazione della sentenza impugnata, il ricorso incidentale condizionato con cui il D., rimasto pienamente vittorioso in secondo grado anche sul punto, ha riproposto la questione della legittimità, sotto il profilo della effettiva copertura di spesa, della delibera giuntale di conferimento dell'incarico. Tale deduzione, infatti, è stata dichiarata assorbita dalla motivazione della sentenza d'appello che (vedi pag. 12) ha fondato la sua ratio decidendi sul pregiudiziale principio secondo cui il diritto del professionista al compenso resta insensibile agli eventuali vizi della deliberazione comunale di conferimento dell'incarico quale quello conseguente all'inosservanza dell'obbligo, previsto dall'art. 284 del r.d. 383/1934, di indicare l'ammontare della spesa e dei mezzi per farvi fronte, per essere detti vizi rilevanti solo nell'ambito interno dell'organizzazione dell'ente territoriale; nell'ipotesi di accoglimento del ricorso principale sul punto (nella specie rimasto, invece, assorbito) della illegittimità della delibera ex art. 284 r.d. 393/1934, detta eccezione sarebbe rimasta impregiudicata e avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice di rinvio.

In conclusione, si deve accogliere, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso principale; dichiarare assorbiti gli altri mezzi dello stesso ricorso; dichiarare inammissibile il ricorso incidentale; cassare la sentenza impugnata e rinviare ad altro giudice pariordinato - che si determina nella stessa Corte d'appello di Napoli, ma in diversa composizione - per il nuovo giudizio in ordine ai motivi dell'appello principale dichiarati assorbiti dalla sentenza qui impugnata e all'appello incidentale del Comune di Portici, concernente la domanda di restituzione della somma di denaro corrisposta al D.

Il giudice del rinvio provvederà, inoltre, alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti gli altri motivi e inammissibile il ricorso incidentale, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione.