Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 12 febbraio 2007, n. 537

FATTO E DIRITTO

1. In data 6 novembre 1993, il sig. Giovanni T., Sovrintendente della Polizia di Stato, veniva sospeso cautelativamente dal servizio, ai sensi dell'art. 9, comma 1, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (che regola le ipotesi di sospensione obbligatoria del personale di pubblica sicurezza), a seguito del fermo disposto nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli quale indiziato di reato, per aver, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, costretto un privato a consegnargli somme di danaro ed oggetti di valore, aiutando lo stesso ad assicurarsi il profitto di delitti, sottraendo ed occultando foto, così impedendone l'acquisizione agli atti dell'indagine in corso.

Lo stato di sospensione cautelare veniva confermato, alla luce della gravità del reato ascrittogli, all'esito della condanna di primo grado, resa l'8 gennaio 1994 dal Tribunale di Napoli, che lo aveva riconosciuto colpevole del delitto di cui agli artt. 368 e 61, n. 9, c.p. (favoreggiamento personale) e condannato ad anni uno e mesi sette di reclusione, nonché alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni uno e mesi sei.

1.1. Sopravvenuta, con pronuncia della Corte d'Appello n. 51377 del 4 giugno 1996, passata in giudicato il 20 luglio 1996, la conferma della sentenza di primo grado, seguiva, in data 2 dicembre 1996, il provvedimento di sospensione - ancora obbligatoria - dall'impiego ex art. 1, punto 1, lett. c), e 4-septies della l. 18 gennaio 1992, n. 16.

1.2. In data 10 dicembre 1996, il Questore di Napoli dava inizio al procedimento disciplinare, con la nomina del funzionario istruttore.

Seguivano: in data 24 dicembre 1996, la contestazione degli addebiti; in data 14 gennaio 1997, la presentazione delle giustificazioni da parte del T.; in data 15 marzo 1997, la chiusura della fase istruttoria; in data 15 giugno 1997, il deferimento alla Commissione di disciplina; in data 1 dicembre 1997, la conclusione del procedimento innanzi alla Commissione, con la proposta della sanzione della destituzione.

1.3. Il Capo della Polizia, con decreto del 26 febbraio 1998, annullava gli atti del procedimento disciplinare a partire dalla contestazione degli addebiti.

1.4. Nelle more, il T. aveva chiesto, con istanza del 17 dicembre 1997, di essere riammesso in servizio, ricevendone in risposta la nota del 17 marzo 1998, con la quale gli si comunicava che la sua posizione poteva essere esaminata solo a seguito della conclusione del procedimento disciplinare pendente.

2. Con quattro ricorsi notificati, rispettivamente, l'11 aprile 1998, il 28 aprile 1998, il 2 novembre 1998 e il 24 novembre 1998, l'interessato impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, sia la nota del Ministero dell'interno del 17 marzo 1998 di diniego di riammissione in servizio nelle more del procedimento disciplinare pendente a suo carico; sia il decreto del Ministero dell'interno del 26 febbraio 1998, che aveva disposto la rinnovazione degli atti del procedimento disciplinare a partire dalla contestazione degli addebiti; sia, infine, il decreto del Ministero dell'interno in data 13 ottobre 1998, di sospensione dal servizio per gravi motivi disciplinari ex art. 92 del d.P.R. n. 3/1957.

3. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe:

- ha dichiarato inammissibile il ricorso rivolto contro il diniego di riammissione in servizio;

- ha accolto il ricorso contro il decreto di rinnovazione degli atti del procedimento disciplinare, per essersi quest'ultimo concluso oltre il termine perentorio di 270 giorni dalla data (8 novembre 1996) di conoscenza, da parte dell'Amministrazione, della sentenza irrevocabile di condanna a carico del T.;

- ha, conseguentemente, accolto i due ricorsi proposti contro il provvedimento di sospensione dal servizio ex art. 92 del d.P.R. n. 3/1957, essendo quest'ultimo sorretto dall'erroneo presupposto della perdurante pendenza del procedimento disciplinare, ormai estinto.

4. Avverso detta decisione ha proposto appello il Ministero dell'Interno, invocando la peculiarità della normativa di settore, nella cui applicazione, attesa la molteplicità degli adempimenti e l'intervento di figure istituzionali di alto profilo, non sarebbe possibile rispettare i ristretti termini di 90 giorni per la conclusione del procedimento, stabiliti dall'art. 9 della l. 7 febbraio 1990, n. 19.

Si è costituito l'appellato, chiedendo il rigetto del gravame.

5. Il giudizio, dichiarato interrotto con ordinanza di questa Sezione n. 1513 del 30 settembre 2005, a seguito del decesso del difensore del T., è stato riassunto da quest'ultimo con atto notificato il 31 marzo 2006.

6. L'appello è privo di fondamento.

7. È giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, che la norma contenuta nell'art. 9 della l. 7 febbraio 1990, n. 19 - la quale fissa il termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna penale per l'avvio del procedimento disciplinare a carico dei pubblici dipendenti nonché il successivo termine di novanta giorni per la sua conclusione - ha portata estensiva in tutto il settore del pubblico impiego ed è, quindi, applicabile anche al personale della Polizia di Stato, in luogo della normativa speciale contenuta nel d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (cfr., per tutte, Cons. St., IV Sez., n. 1933 dell'11 aprile 2003).

Ed è principio altrettanto consolidato che il termine di conclusione del procedimento disciplinare ha natura perentoria, tranne il caso (che non ricorre nella fattispecie) che detto procedimento consegua ad una sentenza penale di condanna pronunciata su accordo delle parti (c.d. patteggiamento) (Cons. St., Ad. Pl., n. 4 del 25 gennaio 2000 e n. 15 del 26 giugno 2000).

8. Ciò premesso, non trovano evidentemente spazio le argomentazioni svolte dall'appellante a giustificazione del superamento del termine complessivo di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare a carico del T., con la comminazione della sanzione della destituzione, tenuto conto, da un lato, che la stessa Corte costituzionale, con sentenza 28 maggio 1999, n. 197, ha osservato che, in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna, il giudizio disciplinare consiste solo nel "riesame delle risultanze processuali e dei fatti come risultano accertati dalla sentenza" (sicché l'Amministrazione, che non è tenuta a compiere autonomi accertamenti istruttori, può portare a termine il procedimento senza inconvenienti, ben potendo essere congruamente ridotti i termini previsti dalla disciplina ordinaria per il compimento degli adempimenti intermedi, fatta eccezione per quelli posti a garanzia del contraddittorio); dall'altro, che il termine di novanta giorni, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., Ad. Pl., n. 4/2000, cit.), decorre dalla scadenza virtuale del primo termine di centottanta giorni, per cui l'Amministrazione dispone, in realtà, di 270 giorni dalla data di conoscenza della sentenza irrevocabile di condanna per portare a termine il procedimento in questione.

9. Alla luce delle considerazioni svolte, non essendo stata mossa alcuna ulteriore censura, da parte dell'appellante, contro gli altri capi della sentenza impugnata, il gravame deve essere respinto.

Le spese del grado di giudizio possono essere equamente compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come specificato in motivazione, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.