Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 18 gennaio 2006, n. 114
FATTO
Il Sig. Luigi Borzacchiello, eletto presidente del Consiglio Comunale di Grumo Nevano con deliberazione 2 luglio 2003 del Consiglio comunale del Comune di Grumo Nevano, con successiva deliberazione del Consiglio comunale di Grumo Nevano n. 1 del 2 gennaio 2004 è stato revocato dalla carica, per effetto dell'approvazione della apposita mozione di sfiducia presentata, nei suoi confronti, da n. 10 consiglieri comunali oltre che dal Sindaco, a norma e per gli effetti dell'art. 12 bis, comma 3 dello Statuto dell'Ente.
Con il ricorso sono stati anche impugnati: a) la deliberazione n. 2 in pari data, con la quale è stato nominato il nuovo Presidente del Consiglio comunale, nella persona del Sig. Arcangelo D'Errico; b), per quanto di ragione e se lesive, le note prefettizie prot. n. 22929 del 5 e del 17 novembre 2003 comunale; ogni altro atto comunque preordinato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi compreso il citato art. 12-bis, dello Statuto comunale, come modificato con deliberazione del Consiglio comunale n. 20 del 20 luglio 2000.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 19384/2004 del 17 dicembre 2004 della Sezione I, ha respinto l'impugnazione.
Successivamente, in seguito alle dimissioni dalla carica del Sig. Arcangelo D'Errico e della nomina del nuovo Presidente del Consiglio comunale, avvenuta con deliberazione n. 6 dell'11 marzo 2005, in pendenza del giudizio d'appello avverso l'anzidetta sentenza del TAR Campania (ricorso depositato in data 7 marzo 2005 ed iscritto al R.G. n. 1828/2005 del Consiglio di Stato), l'interessato ha anche impugnato la deliberazione di nomina del nuovo Presidente, per vizi derivanti dalla deliberazione di revoca su approvazione della mozione di sfiducia, impugnata con il primitivo ricorso.
Anche tale impugnazione è stata respinta dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 9397/2005, resa a norma degli art. 21 e 26 della l. n. 1034 del 1971 (testo corrente), in quanto trattenuta la causa per l'immediata decisione nel merito, con sentenza semplificata, nella camera di consiglio del 8 giugno 2005, fissata per la trattazione della istanza cautelare.
La sentenza da ultimo citata è stata appellata dall'interessato con ricorso depositato il 2 agosto 2005, iscritto nel R.G. del Consiglio di Stato al n. 6655/2005.
Con il primo degli appelli citati (n. 1828/2005) l'interessato deduce l'erroneità della sentenza n. 19384/2004 del 17 dicembre 2004, per erroneità della motivazione e per l'omessa valutazione del contenuto dell'atto impugnato (I motivo) riproponendo, quindi, in questa sede le censure dedotte con il ricorso di primo grado, ovvero: a) illegittimità della deliberazione di revoca per violazione dell'art. 39 del decreto legislativo n. 267/2000; eccesso di potere per difetto dei presupposti; erronea ed insufficiente motivazione; b) sviamento di potere.
Sotto differente profilo, la sentenza sarebbe illegittima per violazione dell'art. 112 c.p.c, in quanto il giudice di primo grado avrebbe omesso di prendere in esame il secondo motivo di impugnazione rivolto avverso l'art. 12-bis, comma 3, dello Statuto dell'Ente (espressamente enunciato fra gli atti, sia pure subordinatamente, impugnati), qui espressamente riproposto, come ragione di illegittimità derivata della deliberazione di approvazione della mozione di sfiducia e revoca (punto c), per pretesa violazione dell'art. 39 del decreto legislativo n. 267/2000 e violazione diretta degli artt. 27 e 117 della Costituzione.
In conclusione, per l'uno e/o l'altro profilo, la sentenza appellata andrebbe riformata nel senso dell'accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento della revoca.
Successivamente, con l'appello iscritto al R.G. n. 6655/2005, è stata impugnata la sentenza n. 9397/2005, nella quale si riflettessero i vizi della precedente sentenza, sulla cui base il giudice di primo grado ha emesso la seconda pronuncia.
Il Comune di Grumo Nevano si è costituito resistendo agli appelli e si è anche costituito, nella prima causa, l'Amministrazione statale.
L'istanza cautelare proposta con la prima delle impugnazioni è stata successivamente rinviata all'esame con il merito.
Successivamente le due cause sono state entrambe chiamate alla pubblica udienza del 15 novembre 2005, anche per l'esame congiunto delle istanze cautelari, e sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Le due cause, oggettivamente e (in parte) soggettivamente connesse, devono essere riunite per essere decise contestualmente, ancorché relative a differenti sentenze della medesima Sezione I del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania.
2. Oggetto della controversia è, principalmente, la mozione di sfiducia, in forza della quale il Presidente del Consiglio comunale di Grumo Nevano è stato revocato dall'incarico.
3. Deve darsi atto che il giudice di primo grado, nel respingere il ricorso deciso con la prima delle sentenze in esame - sentenza n. 19384/2004 - non si è espressamente pronunciato sul motivo di impugnazione con il quale è stata impugnata la norma statutaria che disciplina i casi di cessazione anticipata dalla carica del Presidente del Consiglio comunale, comprendendovi - unitamente a "dimissioni" "decadenza", "cessazione anticipata dalla carica di consigliere comunale" - anche "l'approvazione di mozione di sfiducia con le stesse procedure previste per la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco previste dall'art. 37 della legge n. 142/1990 e del presente Statuto" (art. 12-bis, comma 3 dello statuto dell'Ente).
Contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante, tuttavia, non vi è sul punto, omissione di pronuncia, dovendosi, la sentenza appellata interpretare, nel senso che - in mancanza del presupposto dal quale la censura muove - ovvero che con la mozione di sfiducia e con la sua approvazione i consiglieri che l'hanno proposta ed i votanti abbiano inteso esprimere una "sfiducia" derivante dal venir meno del "nesso di fedeltà politica" - fosse anche irrilevante, nel giudizio, la questione di legittimità della norma statutaria, sollevata dal ricorrente, che aveva impugnato l'art. 12-bis, coma 3, dello Statuto dell'Ente "se ed in quanto lesivo dei diritti ed interessi del ricorrente" e prospettato il vizio sul presupposto che la norma consenta, nei confronti del Presidente dell'Assemblea, uno "sfiduciamento" di tipo politico, ovvero per cause in tutto analoghe a quelle possono condurre "allo scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario ai sensi delle leggi vigenti", come previsto dal secondo comma del richiamato art. 37 l. n. 142/90, nel testo sostituito dall'art. 11, comma 15, l. 3 agosto 1999, n. 265, corrispondente al vigente art. 274, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
La Sezione condivide il procedimento logico attraverso cui il giudice di primo grado è pervenuto a tale conclusione.
La prospettazione del secondo motivo di appello e la riproposizione, con esso, anche del corrispondente motivo di impugnazione proposto in primo grado, richiede, tuttavia talune precisazioni.
L'art. 39 del testo unico del 2000 (non differente dalla corrispondente normativa del 1990) indubbiamente definisce il Presidente dell'Assemblea consiliare, quale presidente di tutto il collegio, nella sua unità istituzionale e suo rappresentante, in funzione non già strumentale all'attuazione di un indirizzo politico ma al corretto funzionamento dell'istituzione in quanto tale, ovvero, in funzione neutrale (in argomento, Cons. Stato, Sez. V, n. 1983 del 25 novembre 1999).
I poteri spettanti sono strettamente connessi alla doverosità dei compiti, il principale dei quali (convocazione del consiglio) è di tale incidenza sul funzionamento dell'organo, da fare prevedere, al legislatore nazionale, l'esercizio del potere sostitutivo dell'Autorità statale (il Prefetto).
Lo norma statale tace sulla durata della carica e sulle ipotesi di cessazione, ma ciò non significa affatto che il Presidente dell'Assemblea goda, come ritiene l'appellante, di una posizione di stabilità assoluta o quasi assoluta, che lo porrebbe al riparo dalla revoca, allorché venga meno agli obblighi ed ai doveri derivanti dalla carica.
Vero è, al contrario, che la sua elezione costituisce espressione di una "fiducia" dell'Assemblea sulla capacità dell'eletto di farsi garante del corretto funzionamento dell'organo e della sua neutralità rispetto alle istanze "politiche" che ne potrebbero alterare l'equilibrio, quale che sia la parte politica di appartenenza e la maggioranza che ha concorso alla sua nomina. Cosicché, di contro, comportamenti che, costituendo violazione degli obblighi inerenti all'ufficio o della richiesta neutralità, sono idonei in linea di principio, a fare venire meno il rapporto fiduciario ed a costituire una valida ragione di cessazione dalla carica.
L'ampia autonomia statutaria che lo stesso art. 39 espressamente riconosce agli Enti locali, nella disciplina dell'istituto, deve fare riconoscere anche, la possibilità, per l'Ente, di disciplinare la forma in cui i componenti dell'Assemblea possono sollevare il problema, sottoponendo al Consiglio la questione del venir meno della "fiducia", ingenerato dalla violazione degli obblighi in questione.
Nel caso in esame, lo statuto del Comune di Grumo Nevano annovera, come si è detto, fra le cause di cessazione, "l'approvazione di mozione di sfiducia con le stesse procedure previste per la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco previste dall'art. 37 della legge n. 142/1999 e del presente Statuto" .
La norma statutaria non ha stabilito, con ciò, alcuna analogia fra le cause (tipicamente politiche) che possono condurre alla proposizione ed approvazione di un mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco.
Nella proposizione normativa, infatti, la mozione e la sua approvazione costituiscono esclusivamente "la forma" attraverso cui il Consiglio può fare cessare anticipatamente dalla carica il Presidente che sia venuto meno alla sua funzione, senza per nulla incidere sul presupposto, che, in corrispondenza alle funzioni dell'organo, consiste nella valutazione di puntuali condotte che mettono in discussione il ruolo garantistico proprio della figura del presidente e che è, per tale profilo, sindacabile sul piano della legittimità.
Testuale è, infatti, nella formula statutaria, il richiamo alle "procedure" e ciò sta proprio a significare che l'accostamento, fra la "mozione" di cui all'art. 37 della legge n. 142/1990 e quella riguardante il Presidente del Consiglio comunale, è soltanto procedimentale.
In altri termini, la mozione di sfiducia altro non è, nel testo normativo di cui si discute, che il modulo procedimentale attraverso cui un certo numero di consiglieri assume l'iniziativa di sottoporre all'assemblea comportamenti del Presidente che violino i doveri dell'Ufficio ed alla maggioranza dell'Assemblea medesima di esprimersi su tali comportamenti, nell'un senso o nell'altro.
4. Chiarito tale aspetto, occorre anche considerare che una serie di condotte politiche realizzate all'interno del Consiglio e in altre sedi, da parte del Presidente, ben può rivestire le connotazioni di un atteggiamento incompatibile col ruolo istituzionale super partes che gli compete, e costituire violazione di regole comportamentali connaturate alla carica di garante della corretta dinamica politico amministrativa del Comune, cosicché la circostanza che i promotori, nell'assumerne l'iniziativa ed il Consiglio nel votare la mozione di sfiducia, abbiano relazionato puntuali violazioni degli obblighi derivanti dal ruolo istituzionale (nella specie: rifiuto opposto dal Presidente, in data 14 ottobre 2003, alla richiesta di iscrizione all'ordine del giorno, presentata in pari data dal sindaco, di uno schema di delibera di annullamento in autotutela di una precedente delibera di nomina del collegio dei revisori dei conti e la vicenda che ne è conseguita) a concomitanti condotte squisitamente politiche del Presidente (nella specie: fatti di avvicinamento del Presidente verso posizioni politiche locali opposte alla maggioranza consiliare) non introduce, nella valutazione del comportamento, elementi di natura "politica", in senso stretto (o tecnico) né annette alla mozione di sfiducia connotazioni tipiche della omonima mozione che, con la caduta del Sindaco, conduce allo scioglimento del Consiglio comunale ed alla nomina del commissario a norma dell'art. 37 della legge n. 142/1990 richiamato dalla norma statutaria.
Nel caso che interessa, ciò che è e resta in giuoco, non è già la politica amministrativa ed il suo indirizzo, bensì, in ogni caso, il pieno e corretto dispiegarsi delle opzioni all'interno della istituzione comunale, il cui Presidente è stato eletto - nell'ambito del medesimo consesso - in forza della designazione maggioritaria "di capacità", basata sulla "fiducia".
In questo senso, dalla condotta politica del Presidente ben possono emergere - per di più se correlata a puntuali comportamenti di per sé costituenti violazione degli obblighi che derivano dalla carica - segni manifesti ed oggettivi capaci di evidenziare proprio il venir meno della "neutralità" (che è elemento che prescinde dalla posizione politica di parte) e dunque idonei a giustificare e sorreggere la "sfiducia" che solo latamente, in tal caso, può definirsi "politica", in quanto, si basa sui medesimi parametri che in precedenza avevano fatto convergere, sullo stesso soggetto, il voto maggioritario favorevole dell'Assemblea.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, nessuna delle censure dedotte dall'interessato con il ricorso introduttivo di primo grado e, successivamente, nel presente grado del giudizio, avverso la sentenza n. 18384/2004, appaiono meritevoli di accoglimento, in quanto, oggettivamente, è in contrasto con i doveri istituzionali del Presidente del Consiglio comunale il comportamento concretatosi nella sostanziale violazione dell'art. 39 del vigente testo unico (decreto legislativo n. 267/2000) in forza del quale il Presidente è tenuto a riunire il consiglio in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richieda (fra gli altri) il sindaco, inserendo nell'ordine del giorno le questioni richieste.
In più la pretesa di eseguire un controllo preventivo di legittimità della proposta di delibera di cui è chiesta l'iscrizione all'ordine del giorno, qualifica ulteriormente la violazione in questione, in termini non soltanto di ritardo opposto all'esercizio della funzione consiliare, ma di indebita ingerenza nella iniziativa dell'organo responsabile dell'amministrazione dell'ente (il sindaco) e di concreto ostacolo alla funzione consiliare.
L'abnormità della condotta integra, in sé, l'ipotesi di cattivo esercizio delle funzioni presidenziali che, anche indipendentemente dal manifesto distacco del Presidente dalla maggioranza consiliare che lo aveva espresso, è idonea a costituire causa legittima del venir meno della fiducia sulla capacità del Presidente di rendersi garante del corretto svolgimento dei lavori assembleari. Il rilevato "distacco" politico costituisce, rispetto alla condotta anzidetta (autonomamente considerata), un indicatore ulteriore, che - per il fatto di essere manifesto - è idoneo (per di più se, come nella specie, si accompagna all'illegittimo esercizio di un potere non previsto da nessuna parte) a qualificare come ostruzionistico il comportamento illegittimo, e, dunque, per ciò solo, ad escludere la "neutralità" dell'organo, anch'essa, con la designazione di capacità, alla base della precedente investitura.
6. Per l'uno e per l'altro profilo delle ragioni che sorreggono la mozione di sfiducia, pertanto, il provvedimento impugnato in primo grado si sottrae alle censure dell'interessato e con esso la sentenza n. 19384/2004, della quale si è fin qui trattato.
Del pari, sono, di riflesso, infondate le censure avverso la successiva deliberazione, con la quale è stato rinnovato il Presidente del Consiglio comunale, a seguito delle dimissioni di quello eletto immediatamente dopo la revoca dell'attuale appellante, non fatta oggetto di autonome censure e quelle proposte, in appello, contro la sentenza n. 9397/2005 che ha deciso al riguardo.
I due appelli, pertanto, devono essere respinti.
Le spese del giudizio di appello - che si liquidano in dispositivo - devono porsi, per entrambi i giudizi, a carico dell'appellante, ed in favore del Comune resistente.
Compensate interamente quanto alla costituita amministrazione statale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, riunisce gli appelli in epigrafe e li respinge;
Condanna l'appellante, in favore del Comune di Grumo Nevano, al pagamento, per entrambe le cause, delle spese del presente grado del giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila//00), oltre IVA e CPA come per legge;
Compensa le spese quanto all'amministrazione statale costituita.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.